Monday, May 30, 2022

CfP: XXVth International Onomastica & Letteratura Symposium (Septembre 2022)

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa

nei giorni 
16 e 17 settembre 2022 
si svolgerà presso l’Università di Pisa il

XXV Convegno Internazionale di O&L

Gli argomenti intorno ai quali verterà sono i seguenti:

  • Giochi, parodie, agnizioni: il nome per divertire e per disvelare

I testi letterari costruiti su giochi di parole, divertissements lessicali e fraintendimenti linguistici intenzionali trovano spesso il loro campo d’azione preferito nel nome proprio, in special modo quando essi mirano alla parodia, alla satira, al calembour o ad altre forme del comico, spesso costeggiando i territori peculiari del nonsense, come ha mostrato Donatella Bremer nei suoi contributi su Robert Gernhardt e altri autori tedeschi (fra i quali Busch, Morgenstern, Ringelnatz, Brecht, Jandl e il cabarettista Karl Valentin) o sul limerick, la forma in versi che in prevalenza utilizza nomi propri, e in particolare toponimi per le sue alchimie verbali, resa celebre da Edward Lear e non disdegnata da molti eminenti scrittori, fra i quali Wisława Szymborska e, in Italia, Scialoja, Rodari, Caproni e Montale. Non sfigurerebbe tuttavia nel canone dei giochi onomastici di tipo parodico il Boccaccio della predica di Frate Cipolla ai Certaldesi (Decameron, VI 10, 37-42), in cui questi, da buon imbonitore, inventa con le parole spazi di esotica lontananza per gli ingenui interlocutori costruendo un itinerario toponimico che in realtà non fa altro che riutilizzare odonimi della Firenze trecentesca, comicamente consonanti con località favolose. La sezione potrebbe d’altro canto legittimamente allargarsi a casi di parodie ‘serie’, in accezione genettiana, cioè di ripresa e riscrittura degradata, ma non necessariamente comica, di nomi della tradizione letteraria (valga come esempio il passaggio da Ulisse all’Ulysses joyciano). Ancora, altre forme di gioco e di disvelamento onomastici, che l’autore instaura con il lettore, potrebbero essere rappresentate dalle ‘firme d’autore’ celate in tanta letteratura della lirica romanza e italiana delle Origini, anche in forma di anagrammi e paragrammi disseminati nel testo, come opinato ad esempio (da Giorgio Orelli) per le criptate autonominazioni petrarchesche nel sonetto incipitario dei RVF («sPEro TrovAR pietà nonCHE perdono»), o per i giochi ipogrammatici che coinvolgevano i nomi di Brunetto Latini e del suo corrispondente Bondie Dietaiuti (secondo Giuseppe E. Sansone), all’interno di quella che costituirebbe la loro corrispondenza amorosa in versi, per citare solo alcuni esempi.

  • Elenchi, sequenze, liste, cataloghi onomastici in letteratura

A caratterizzare elenchi, liste e cataloghi letterari sono spesso antroponimi e toponimi. Ciò accade già nel più lontano archetipo del fenomeno, il ‘catalogo delle navi’ del II libro dell’Iliade, in cui il narratore omerico, per dar l’idea dell’immensa marea di uomini giunti con i contingenti achei per nave a Troia, ricorre a un fluviale elenco di nomi dei comandanti, corredato di etnonimi e toponimi a indicarne la provenienza. Analogamente, la Teogonia di Esiodo propone un’altra inesauribile lista di nomi di creature divine. Una strategia onomastica per evocare l’enormità se non l’infinitezza indicibile dell’oggetto della descrizione, come suggeriva Umberto Eco nella Vertigine della lista? Lo stesso studioso, nelle vesti di romanziere, sembrava evocarne una diversa funzione in un passo della Misteriosa fiamma della regina Loana, in cui era una litania di toponimi a rappresentare la prima involontaria epifania memoriale del protagonista, colpito da amnesia dopo un incidente stradale e colto da un improvviso recupero memoriale alla vista di un cartello segnaletico con il nome del paese natale. Ma l’esempio più celebre del valore memoriale degli elenchi onomastici è un passo della Recherche proustiana, significativamente intitolato Nom de pays: le nom, che culminava in un catalogo dei nomi delle stazioni ferroviarie normanne. In ogni caso, la strategia ricorre in molti altri scrittori contemporanei. Da Elio Vittorini, che scandiva il viaggio di ritorno in Sicilia del protagonista di Conversazione in Sicilia con insistenti cataloghi dei nomi dei centri toccati dalla ferrovia, sulla linea che da Siracusa va verso il paese materno del personaggio. Sino a Luigi Meneghello, che, ad incipit del capitolo VI del suo I piccoli maestri, declamava un elenco costituito da un paio di decine di toponimi, certo non liquidabili come mezzi per ottenere un mero effet de réel. Elenchi che talora appaiono declinati come una sorta di mantra, necessario all’appropriazione memoriale di persone, di luoghi da quei nomi raffigurati. A provarlo esplicitamente è uno scrittore quanto mai distante per tempo e ispirazione dagli altri sinora citati, il Salman Rushdie dell’Ultimo sospiro del Moro, il cui io narrante, accingendosi a evocare i nomi dei luoghi della sua lontana e perduta Bombay, dichiarava: «cedo alla tentazione di evocarli, con la forza che possiede il nominarli, davanti ai miei occhi assenti». Tra Omero e Rushdie, un campo sterminato di cataloghi onomastici.

  • Nomi e identità

La coppia delineata dal titolo di questa sezione parrebbe sulle prime adombrare un accostamento pressoché ovvio, se non la premessa di un vero e proprio truismo o petizione di principio. Il nome, si dirà, è il segno dell’identità di un personaggio o di un luogo letterari, e null’altro andrebbe aggiunto a questa incontrovertibile persuasione. Eppure, il rapporto tra i due elementi del sintagma appare tutt’altro che pacifico e acclarato, tanto anzi da costituire il nucleo più critico di molte creazioni onomastiche, come anche di molte riflessioni autoriali sulla natura dei nomi propri letterari. A fornirne il paradigma alcuni celebri esempi pirandelliani: dal Mattia Pascal che vive una crisi che travolge nome e identità, tentando vanamente di riacquistarne da sé di più autentici e meno ingannevoli, al Vitangelo Moscarda che conclude il suo percorso di progressiva demolizione dell’io e della stessa struttura romanzesca, in Uno, nessuno e centomila, con un apoftegma memorabile, che condanna senza appello ogni possibile equivalenza dei due termini in questione: «Nessun nome». Oltre che a scoprire l’inconsistenza del nome come identità, e la sua volatile sostanza di maschera, lo scavo interpretativo su questa coppia concettuale può tradursi anche in altro. Ad esempio nell’interrogazione del rapporto tra l’identità reale di figure umane o di luoghi che il testo copre con il velo di nomi di invenzione o con l’anonimato. Come non pensare, a questo proposito, alla curiosità quasi morbosa che torme di lettori e critici riversarono nell’Ottocento, e ancora più in là, nel tentativo di dare un nome al «paesello» degli sposi manzoniani, e di svelarne dunque l’identità? Per non parlare di analoghi esercizi di scioglimento anagrafico cui gli esegeti del romanzo sottoposero altri suoi due personaggi quali l’«innominato» e l’«anonimo». Nomi che nascondono identità, mentre altri invece la sbandierano, come avviene per i nomina loquentia o redende Namen o analogous names che dir si vogliano, in cui l’onimo allude a una res identitaria a molteplici livelli: fisico, morale, attanziale. Con gradi di trasparenza, o al contrario di opacità, mutevoli a seconda dei casi, ed esercitando la forza allusiva anche per antifrasi, quando questi non si piegano, per dirla con Philippe Hamon, a «stratégies déceptives». In questi casi i nomi forniscono indicazioni allusive smentite dal racconto, depistando il lettore più che guidarlo. Una tipologia attestata già in epoca classica e poi riattualizzata nell’arco di tutta la storia letteraria, dalla narratio brevis romanza ad esempi contemporanei talora insospettabili, e certo già ampiamente indagata dagli studi di onomastica letteraria, che ne hanno fatto a lungo il loro vero centro di interesse interpretativo. Eppure, a ben vedere, essa costituisce un giacimento ancora inesauribile, specie quando lo scandaglio venga gettato in territori (autori, testi, generi) sotto tale aspetto inesplorati. La questione si apre del resto anche a riflessioni teoriche sulla natura dei nomi propri in letteratura, toccandone il nodo fondamentale, quello riassumibile nell’alternativa tra teorie che sostengono l’arbitrarietà degli stessi nomi letterari e, all’opposto, visioni ‘cratilee’, persuase dell’esistenza di un legame naturale e necessario tra il nome e l’identità.

  • Il nome e le voci nel testo (in letteratura e in particolare nel genere teatrale)

Il nome, quando viene pronunciato materialmente dalla voce di un personaggio, può restare neutra etichetta denotativa oppure subire incrinature e deformazioni, di natura soggettiva ed espressiva, colorandosi di nuances ora affettuose e accorate ora ironiche e sarcastiche. Corre alla mente un passo di Ferito a morte di Raffaele La Capria: «Il mio nome, Maaàssimo!, la voce lontana di Glauco, quei giorni più brevi di un nome gridato sul mare»; o la pronuncia apocopata del nome, tipica dei dialetti meridionali, attestata nelle allocuzioni di alcuni personaggi dei Fuochi del Basento di Raffaele Nigro («Oi, France’, chiedimi da bere»). Il fenomeno assume un’evidenza particolare nelle battute dei testi teatrali, in cui è la voce attoriale, guidata in modo più o meno esplicito dalle indicazioni d’autore, a declinare e materializzare tali sfumature. Ma le oscillazioni della ‘voce’ che pronuncia i nomi letterari potrebbero anche essere intese guardando, semioticamente, alla loro dimensione  pragmatica, o, sociolinguisticamente, a quella diafasica (da dia- e phasis ‘voce’, appunto), nelle infinite gradazioni che il nome può percorrere, in un testo letterario, lungo l’asse compreso tra i due poli del formale e dell’informale, variando a seconda dell’interlocutore, delle relazioni che intercorrono tra i personaggi, delle situazioni comunicative in cui essi vengono ritratti. Ad esserne coinvolto è ad esempio l’uso dei diminutivi, che possono divenire spie di una relazione più intima e familiare tra due personaggi o di una deminutio del loro valore, come più in generale tutte le strategie allocutive, per dirla con Pasquale Marzano, sottese alle scelte onomastiche, capaci di sintetizzare senza ulteriori indicazioni narrative il tipo di rapporto che si instaura tra i personaggi, o tra questi e il narratore. Esempio celebre quello dell’Angiolina della Senilità sveviana, che nella mente del protagonista Emilio oscilla tra Angie Giolona, tra immagine angelicata e più cruda percezione maschilista, smascherando proprio con tale dialettica onomastica l’ambiguità e la rete di autoinganni in cui il personaggio si crogiola. O, per fare solo un altro esempio, gli analoghi mutamenti allocutivi cui è sottoposto il personaggio di Gasparina Torretta del Non è una cosa seria pirandelliano – da Gasparotta Scarparotta.

  • L’onomastica in alcuni autori di cui ricorrono significativi anniversari: Hoffmann, Proust, Buzzati, Meneghello

Come accaduto in altre edizioni del Convegno, una delle sezioni sarà dedicata ad autori di cui cadono nel 2022 significativi anniversari. Ad essere chiamata in causa quest’anno è una pluralità di scrittori: Ernst T. A. Hoffmann, Marcel Proust, Dino Buzzati (dei quali ricorrono rispettivamente duecento, cento e cinquanta anni dalla morte) e Luigi Meneghello (centenario della nascita). Essi sono del resto accomunati non solo dalla ricorrenza anniversaria, ma anche da una oggettiva rilevanza delle strategie onomastiche da loro esperite, come già acclarato per ognuno di essi da precedenti contributi che ne hanno analizzato l’opera sotto questo profilo, edificando vere e proprie ‘nicchie interpretative’, con cui si potrà dunque fare i conti, per confermarne e arricchirne gli esiti oppure, al contrario, per contestarli e provare a ribaltarli.

Coloro che intendano partecipare al Convegno o che vogliano proporre un loro articolo alla redazione della rivista «il Nome nel testo»

sono pregati di inviare a Donatella Bremer (donatella.bremer@unipi.itentro e non oltre il 30 luglio 2022 un abstract, non generico, ma sufficientemente indicativo (ca. una pagina) del loro contributo.

Si prega di allegare anche un breve curriculum.

La lunghezza degli articoli da sottoporre al processo di revisione (peer review) per un’eventuale pubblicazione nella rivista «il Nome nel testo» dovrà aggirarsi intorno alle 12 cartelle.

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